IL BENE COMUNE, LA SOCIETA’ COMPLESSA E IL CLUB – di Giampaolo Carcangiu 

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Il bene comune, la società complessa e il Club

Giampaolo Carcangiu

Premessa
Cercherò di approfondire l’argomento succitato facendo particolare riferimento al problema del rapporto tra individuo, club e società, tra la dimensione pubblica e quella privata, prendendo spunto dal paradigma prospettato nella “Teoria dei Beni Comuni” ovvero lo schema: “da privato a pubblico, da pubblico a civico”. Il nostro attuale e complesso contesto socio-culturale, che inevitabilmente incide sulla vita delle persone e delle società, è uno degli aspetti su cui puntare l’attenzione per l’analisi della tipologia dei rapporti interpersonali che lo caratterizzano. La società complessa e in genere la civiltà occidentale, non sembrano infatti particolarmente attente a promuovere e incrementare i processi di crescita delle singole persone e delle loro comunità. In questo piccolo volume ho tentato sostanzialmente di evidenziare le esperienze significative nelle quali si possono intravedere scientificamente gli elementi per definire nuove dimensioni organizzative sociologiche. Si possono infatti percepire segnali significativi che fanno sperare in un’inversione di tendenza, rispetto agli esasperati principi individualistici di autorealizzazione della società moderna, che sembrano orientarsi sempre più verso un loro progressivo esaurimento. Il caso dei Club multifamiliari o Club Alcologici territoriali o più semplicemente Club Hudolin, ci permette di cogliere non solo i tratti critici tipici della società complessa ma anche quelli più umani e, con il loro metodo di lavoro, offre un’opportunità, di cui i soggetti sociali possono disporre, per il miglioramento delle condizioni di vita e per il perseguimento del bene comune .

Bene comune e suoi significati

“La prima idea che il bambino deve apprendere, per poter essereattivamente disciplinato, è quella della differenza tra bene e male; e il compito dell’educatore sta nell’accertarsi che il bambino non confonda il bene con l’immobilità e il male con l’attività”. Maria Montessori (1870 –1952) La locuzione “Bene comune” indica l’insieme dinamico delle condizioni di vita di una collettività protese verso il continuo miglioramento del benessere di tutta la popolazione.
Ad esempio, bene comune è la democrazia, le condizioni che promuovono il progresso culturale, economico, spirituale e morale di tutti, nessunoescluso.
Secondo il concetto di interdipendenza tale locuzione contempla inoltre il riconoscimento dei reciproci diritti umani e la qualità delle relazioni interpersonali e contiene in se l’impegno per la ricerca di soluzioni vantaggiose per ciascuno e per tutti i membri del nostro pianeta.
L’interdipendenza fra sé e l’altro, le interazioni sociali tra gli individui, diventa il senso esistenziale condiviso che lega profondamente gli esseri umani.
L’interdipendenza, ovvero il rapporto di reciproca dipendenza tra due o più cose o persone, può essere definita in positivo o negativo. Interdipendenza positiva è ad esempio il commercio internazionale virtuoso fra più partner commerciali. L’interdipendenza positiva, tra i membri di un gruppo, si verifica quando ognuno di essi percepisce che lo scopo dell’esistenza del gruppo stesso non può essere raggiunto se non con il contributo paritario di tutti.
L’aumento degli armamenti, al contrario, è un esempio di interdipendenza negativa, in quanto costringe le parti in causa ad una sottrazione crescente di risorse per scopi bellici anziché civili.
Nell’ambito ecologico sociale l’interdipendenza è anche il rapporto tra gli stili di vita condivisi da gruppi o nazioni diverse e gli effetti consequenziali di questi sugli individui , sugli altri sotto sistemi. oltre che sull’ecosistema in generale.
A partire dal XIX secolo lo sviluppo continuo dei paesi industrializzati ha creato devastanti effetti ambientali su scala mondiale, inizialmente non prevedibili ma che, successivamente, si sono manifestati in tutta la loro gravità, (effetto serra, desertificazione, deforestazione, riduzione nella stratosfera dello strato di ozono, etc.). Uno dei temi più dibattuti negli ultimi anni è stato infatti quello di collegare le attività umane ai conseguenti cambiamenti climatici del nostro pianeta. Gli effetti ambientali negativi hanno avuto ripercussioni negative sulla nostra vita, pur essendo più spesso
concentrati nei paesi poveri dotati di risorse naturali sfruttabili, con l’accentuazione degli squilibri economici, sociali e di salute già esistenti in varie parti del mondo. Le prove scientifiche oggi disponibili dimostrano con forza che le diseguaglianze socioeconomiche sono la principale ‘causa’ dei danni alla salute. Quasi tutte le malattie sono infatti bersaglio di tali diseguaglianze, di dimensioni impressionanti per tutte quelle correlate al consumo di alcol, tabacco e altre droghe, all’obesità, alla scorretta alimentazione e sedentarietà, a condizioni di sicurezza in ambiente di lavoro, a quelle dipendenti dalla qualità delle cure mediche e a quelle correlate a condizioni di povertà nell’infanzia.
Sin dall’antichità pensatori, filosofi e statisti hanno concentrato i loro propositi sul tema del bene comune. Per gli antichi popoli greci e romani la più alta aspirazione di un uomo consisteva nel partecipare alla vita politica, al bene della collettività, all’essere considerato al servizio del popolo. Così come nell’antichità, anche ai giorni nostri, il bene comune riguarda l’impegno per la pace, la tutela dell’ambiente, della salute pubblica e dei diritti fondamentali dell’uomo (alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni, tutela della libertà religiosa ecc.).
Il bene comune della società consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti e doveri della persona, che sono universali ed inviolabili. Occorre perciò che siano rese accessibili all’uomo tutte le realtà necessarie a condurre una vita veramente umana.
Insito in tale argomento è, come ovvio, il concetto di salute intesa come bene personale e collettivo, bisogno fondamentale della persona , diritto e dovere. Essa è “la misura di quanto una persona è capace di realizzare le proprie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni e anche di quanto è capace di cambiare e di adattarsi all’ambiente. Lo stesso concetto è valido per le comunità. L’art. 32, comma 1, della Costituzione Italiana stabilisce che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti». La salute costituisce lo stato di benessere fisico, mentale e sociale, oggetto di specifica tutela da parte dell’ordinamento, che consente all’individuo di integrarsi nel suo ambiente naturale e sociale.
Essendo l’indispensabile presupposto per il godimento di tutti gli altri diritti costituzionali, la salute è un diritto fondamentale. Essa rappresenta un interesse della collettività, nel senso che trascende il singolo individuo e rientra, invece, nel patrimonio sociale comune. “I prerequisiti per la salute sono la pace, una casa, l’istruzione, la sicurezza sociale, le relazioni sociali, il cibo, un reddito, l’attribuzione di maggiori potenzialità alle donne, un ecosistema stabile, un uso sostenibile delle risorse, la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani e l’equità”. La salute non può essere considerata principalmente come un patrimonio o la somma di diverse abilità bensì come risorsa, ovvero come un processo in divenire verso il miglioramento della qualità di vita, costituito da interrelazioni e spazi in cui abita una mescolanza di vita.
Il dibattito sulla salute si articola in tale mescolanza su due piani: l’impostazione riduzionista meccanicistica biomedica che colloca la salute o la malattia in una dimensione esclusivamente biologica e gli inquadramenti sistemici ecologici e sociali che tengono più conto della persona nella sua totalità psico-fisico-sociale e della sua integrazione ambientale. In questosenso l’unità d’interesse diventa non solo l’individuo bensì gli aggregati demografici localizzati ovvero le comunità e società , intese come «famiglie di famiglie» in cui ogni singolo individuo deve apprendere ad assumersi la responsabilità del bene comune salute, di quello della propria famiglia e della comunità nella quale vive e lavora; uguale responsabilità deve essere assunta anche dalla comunità nel suo complesso.
“Il perseguimento di una migliore qualità della vita richiede quindi che si sviluppi la volontà di riequilibrare i sistemi ecologici delle reti comunitarie, che vengano protetti i diritti umani fondamentali, e tra questi un’ importanza del tutto prioritaria va al diritto alla vita, alla pace, alla libertà” (Hudolin,96). Il bene comune, così contestualizzato è anch’esso un processo dinamico in continuo cambiamento alla base del quale è situata
la dignità, unità, ed uguaglianza di tutte le persone.
La Chiesa cattolica definisce il bene comune come «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». (Gaudium et Spes 26).
Si tratta di un concetto sviluppato dalla Dottrina Sociale della Chiesa che si basa sulla natura sociale dell’essere umano che, in quanto persona, non si concepisce al di fuori di una rete di relazioni e di corpi sociali strutturati.
Il bene comune non consiste quindi nella semplice somma dei beni particolari di ciascun soggetto del corpo sociale. Essendo di tutti e di ciascuno è e rimane comune, perché indivisibile e perché soltanto insieme è possibile raggiungerlo, accrescerlo e custodirlo, anche in vista del futuro (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2004).

La Teoria dei Beni Comuni
Gli animali che vivono una vita semplice e libera non muoiono di fame, fra loro non si trovano ricchi e poveri, chi mangia molte volte al giorno e chi non ha da sfamarsi; queste differenze esistono solo in mezzo agli uomini. E tuttavia continuiamo a crederci superiori agli animali.
Mohandas Karamchand Gandhi, (1869-1948)
Tutti i beni comuni dell’uomo, l’acqua, l’energia solare o eolica etc, sono beni “non escludibili”, per i quali non è possibile imporre un prezzo, che devono circolare al di fuori del mercato, attraverso i canali dell’economia informale, ma per i quali esiste il rischio di un eccessivo loro sfruttamento.
Essi hanno da sempre stimolato l’interesse di molteplici studiosi afferenti alle più diverse scienze, ruotando tutti attorno al problema della loro corretta gestione. Elinor Ostrom, è stata Premio Nobel 2009 per l’economia e ideatrice della “Teoria dei Beni Comuni”. La sua teoria si basa sul concetto che alcune risorse sono essenziali alla vita e non devono essere assoggettate allo sfruttamento del mercato; questa idea , per certi aspetti rivoluzionaria, perché intacca il monopolio della proprietà privata e supera il concetto
standard di “pubblico”, afferma ad esempio che: “l’acqua è un bene comune, per il quale è necessario stabilire che ogni cittadino ne abbia diritto a che la disponibilità di quell’elemento gli deve essere garantita nel modo più efficiente possibile. Dunque nessuno meglio degli stessi cittadini può contribuire attivamente alla sua gestione”. Il paradigma prospettato nella Teoria dei Beni Comuni si può esprimere molto sinteticamente in una elementare concatenazione di passaggi successivi così descritti: “da privato a pubblico, da pubblico a civico”.
Nel modello elaborato dalla Ostrom infatti, le istituzioni pubbliche devono svolgere essenzialmente il compito di supportare le forme di cooperazione umana finalizzate alla gestione dei beni comuni .
Da questi aspetti emerge come i beni comuni siano molto più che semplici risorse da amministrare con la dovuta accortezza e quanto in questo processo sia fondamentale aver chiari i concetti di “bene comune” e “interdipendenza” precedentemente descritti. I beni comuni sono così un patrimonio vero e proprio da salvaguardare, tutelare e da sottrarre il più possibile alla logica distruttiva del tutto e subito, proiettati verso il futuro
delle generazioni che verranno: le vere ed uniche proprietarie dei beni comuni.
Le risorse comuni, pur presentando tratti che a volte le avvicinano ad altri tipi di beni, si distinguono da essi tanto concettualmente quanto per i problemi che pongono ai loro utilizzatori.
A tal proposito Aldo Leopold (1887–1948) considerato tra i più grandi ecologisti mondialmente riconosciuti, così scrisse: “Noi abusiamo della terra perché la consideriamo come un bene appartenente a noi. Quando vedremo la terra come una comunità a cui apparteniamo, potremo cominciare a usarla con amore e rispetto”.
La teoria dei Commons è infatti un tema trasversale in tutti i paesi del mondo in quanto sollecita la tutela e la protezione dei beni ancestrali, ovvero del patrimonio collettivo del mondo. Essi notoriamente sono oggetto di facile aggressione e furia disumana, in quanto seguono, come affermato da Leopold, una logica di rapacità predatoria globale, dominata da personaggi ambigui e determinati a conservare e ampliare il loro potere. Biopirateria è un termine che ben descrive la tendenza all’appropriazione indebita di beni comuni a scopo di lucro. La biopirateria viene definita come la modalità con cui le multinazionali rivendicano la proprietà delle risorse genetiche, delle conoscenze tradizionali e delle tecnologie dei paesi in via di sviluppo. Essa è quindi da considerare l’appropriazione indebita di una conoscenza appartenente ad un gruppo tradizionale, per ottenerne laproprietà intellettuale e gli ovvi vantaggi della loro commercializzazione.

Complessità e suoi significati

«La complessità è una parola problema e non una parola soluzione”» Edgar Morin I sistemi complessi sono sistemi dinamici composti da diversi sottosistemi che interagiscono tra loro. Tali sistemi sono analizzati attraverso metodologie “olistiche” ovvero come valutazione dei comportamenti dei singoli sottosistemi e delle loro interazioni. Il termine “olistico” deriva dal greco “olos”, cioè “tutto, intero, globale”, è usato per indicare qualcosa che è riferito o ispirato all’olismo. L’olismo è la tesi secondo cui il tutto è più della somma delle singole parti che lo compongono.
Il termine “complesso” deriva dal verbo latino “complector”, che significa cingere e, in senso metaforico, abbracciare, comprendere, unire tutto in sé.
Una situazione, un problema, un sistema è complesso se consta di molte parti interrelate, che influiscono l’una sull’altra.
Edgar Morin, sociologo, filosofo e saggista francese, iniziatore del “pensiero complesso”, considerato uno dei più grandi intellettuali contemporanei, promotore di una nuova conoscenza che va ben oltre la separazione dei saperi, , sostiene che l’umanità procede verso orizzonti in cui la visione del mondo si contraddistingue sempre più come l’espressione, nel bene e nel male, delle interazioni tra l‘uomo e il suo ambiente. I sistemi
complessi sono caratterizzati da un rapporto di reciproca dipendenza.
L’ambiente (nella sua accezione più ampia) è una risorsa, il bene comune del quale siamo contemporaneamente fruitori e agenti della sua protezione e cambiamento. In questo senso la crescita umana, dal punto di vista sociale e individuale, volge verso un processo di formazione di una società sempre più complessa, fluida , incerta e superficiale, nella quale è determinante maturare competenze sempre nuove, per adattarsi al cambiamento, per sviluppare strategie in grado di affrontare efficacemente i sempre nuovi scenari geo politici mondiali. Il famoso sociologo Zygmunt Bauman, (1925-
2017) ha esplorato la voglia di compensare l’insicurezza di fondo del nostro vivere all’insegna della globalizzazione, della competitività e  dell’individualismo. Ciascuno di noi consuma la propria esistenza in solitudine, come un problema individuale o come il risultato di fallimenti personali. Aleggia una dominante sensazione di estraneità a questo mondo, un sentimento di disperazione, noia, nausea e assurdità. Diventa così importante apprendere si i contenuti della nostra esistenza ma è altresì determinante imparare a cambiare, a sconfinare, per migliorare la propria flessibilità , efficienza e intelligenza.
Piero Dominici, Sociologo presso l’Università degli Studi di Perugia,  sostiene che «nella società complessa non sono più sufficienti il “sapere” o il “saper fare”: dobbiamo “sapere”, dobbiamo “saper fare”, ma dobbiamo anche “saper comunicare il sapere” e “saper comunicare il saper fare”».
Lo psicologo statunitense Carl Rogers (1902 – 1987) scrisse che “quando si arriva ad accettarsi per quello che si è, allora si può cambiare. Tutti abbiamo paura di cambiare. Una delle ragioni principali di tale preoccupazione, è la resistenza al cambiamento”. Tale concetto si riferisce all’ angoscia emotiva causata dalla prospettiva di una trasformazione o dal cambiamento che sta avvenendo. Egli afferma inoltre che, “Se ci si propone di capire veramente un’altra persona, si può cambiare da quanto si riesce a comprenderla”. Un cambiamento è sempre un’opportunità per scoprire se stessi a prescindere dall’età, dall’eventuale esistenza di problemi di salute o dalla gravità di questi. Si può quindi essere promotori-protagonisti del proprio cambiamento e delle relazioni col proprio ambiente. In alcune esperienze relazionali autentiche, come ad esempio i “momenti d’incontro” delle comunità multifamiliari dei Club Hudolin, il cambiamento è solitamente e funzionalmente correlato all’esperienza di viversi nell’interazione con l’altro in una prospettiva di ri-pianificazione della propria esistenza.
Il Club è un bene comune e concorre al bene comune, è un sottosistema di una società complessa, qualcosa di più che un semplice aggregato di individui, perché nel Club un individuo è qualcosa di più che un individuo isolato. Esso è fisicamente strutturato nell’ambito di una rete i cui nodi sono tra loro interconnessi, “un luogo dove le persone, famiglie, scelgono cosa fare della loro vita e si partecipa come risorse e non come problemi” (Riflessioni conclusive del XXVIII congresso AICAT “Coltivare relazioni ecologiche e far crescere la cultura del bene comune” Boario Terme, Brescia, 2019). È evidente che attraverso l’intreccio di relazioni significative si rende molto più complesso il sistema antropologico con cui si entra in rapporto (Florita, 2011). Il Club, in tal senso, può ben rappresentare una direzione per il miglioramento della qualità di vita in quanto facilita ovvero “catalizza” il processo di consapevolizzazione dei “problemi esistenziali” e la possibilità che questi possano trovare uno spazio di ascolto, dignità e visibilità nella comunità, in una comunità aperta alle molteplici difficoltà della vita. Esso contempla inoltre l’apprendimento dei valori dell’empatia, del rispetto e della libertà umana. Il Club può essere infatti utilizzato per tutte le sofferenze e i disagi esistenziali e le loro varie combinazioni, che trovano, in una comunità multifamiliare, semplici ma efficaci strumenti di accoglienza: l’ascolto, la comprensione e la solidarietà.
Nel Club le famiglie scoprono di possedere capacità che sono allo stato potenziale fino a che esse si trovano in relativo isolamento. I Club si propongono di migliorare, attraverso la presenza sensibilizzante nel territorio, lo stile di vita delle persone che del club fanno parte e di quelle che abitano il contesto socio ambientale e culturale. La responsabilità di
migliorarsi, anche da un punto di vista culturale contagia favorevolmente la comunità; (W.R. Bion, 1897-1979). Questo agire ecologico, se regolare e continuo nel tempo, contribuisce alla rottura dell’isolamento , della solitudine e del diffuso disagio esistenziale, tipici della società complessa e mette in crisi la cultura dominante. E’ stato valutato che quando viene coinvolta, direttamente o indirettamente, in una sensibilizzazione l’1% della popolazione, questo si traduce in un reale cambiamento culturale. La cultura è infatti “l’unico bene dell’umanità che , diviso fra tutti, anziché diminuire, 11 diventa più grande se molti partecipano ad essa”.( H. G. Gadamer 1900-
2002) .
Il Club, l’individuo e il bene comune nella società complessa «A misura che si procede nell’evoluzione, i vincoli che legano l’individuo alla sua famiglia, al suolo natale, alle tradizioni che il passato gli ha trasmesso, agli usi collettivi del gruppo, si allentano» Émile Durkheim (1858 –1917)
«Ci siamo evoluti per stabilire relazioni profonde con altri esseri umani: la nostra consapevolezza di questo fatto può, e dovrebbe, avvicinarci sempre di più gli uni agli altri». Purtroppo l’incontro tra culture diverse è ostacolato dall’influenza di sistemi di credenza di massa, religiosi e politici, che immancabilmente negano le fondamenta biologiche che ci uniscono. M. Iacoboni

La società complessa è una società altamente diversificata, con forti principi di autonomia e libertà. In tale contesto l’individuo è solo , insicuro, relegato ai margini della società, «l’uomo non è più il metro di misura di una società sempre più funzionalizzata” (S. Belardinelli), e di lui vengono trascurate le più fondamentali istanze umane.
Il già citato Zygmunt Bauman, (1925- 2017), noto per le sue definizioni di modernità “liquida”, “precaria” come le nostre stesse esistenze, sostiene che l’insicurezza di fondo del nostro vivere all’insegna della globalizzazione, della competitività e dell’individualismo ci spinge, illusoriamente, a cercare soluzioni circoscritte a contraddizioni sistemiche, rimedi individuali a problemi che possono essere risolti solo collettivamente. Contestualmente si desta un profondo e ancestrale bisogno di comunità, un pressante bisogno di stare insieme. Il termine comunità (ad es. quartiere, paese o regione) indica una struttura organizzativa sociale con estensione territoriale limitata, in cui gli abitanti abbiano delle caratteristiche comuni. In questa accezione la comunità può essere vista come un’estensione della famiglia ovvero una famiglia di famiglie. Nell’immaginario collettivo il modello di comunità simboleggia il bisogno di semplificazione della vita, di costruire relazioni significative e di sentirsi meno soli e circondarsi dalle protezioni e dai riconoscimenti che solo il gruppo può offrire. Il potere della comunità si esprime infatti attraverso la sua capacità di definire ruoli , competenze,
talenti e modelli funzionali al suo sviluppo e di focalizzare la propria attenzione cognitiva sul miglioramento delle condizioni umane. Per affrontare l’isolamento, la solitudine e l’ansia della società complessa il Club Hudolin, in quanto comunità multifamiliare, può offrire l’opportunità di riflettere sulla possibilità, concretamente sperimentabile, di imprimere una svolta alla propria esistenza, attraverso la sperimentazione di relazioni interpersonali che traggono linfa vitale dall’aspirazione alla ricerca e realizzazione di un ideale di vita segnato dai valori di libertà, giustizia, amicizia, solidarietà, interdipendenza e corresponsabilità. La crescita e la maturazione antropo-spirituale nei Club segna il graduale passaggio dall’individualismo esasperato a quello di persona, soggetto sociale, abile e responsabile di un processo di promozione della salute per tutti. Promuovere la salute, prima ancora che una mission civica, è una
dimensione etica e spirituale.
Mentre lo sviluppo della società moderna è visto sempre più come un processo di differenziazione – individualizzazione che genera, solitudine,
ansia, stress, paure e malattie (disagio spirituale) -, il Club, al contrario, si orienta verso la crescita e maturazione continua dell’individuo, della famiglia e della comunità nel loro insieme. “Oggi osserviamo che da un lato la società si differenzia in innumerevoli sistemi parziali, dall’altro gli interessi e i bisogni individuali sembrano aver preso il sopravvento su qualsiasi dimensione comunitaria” (S. Belardinelli), ma possiamo anche percepire segnali che fanno ben sperare in una inversione di tendenza, dettata dal progressivo esaurimento degli esasperati principi individualistici di autorealizzazione che attualmente la governano. Gli appelli all’uomo per una “vita buona”, una società più “civile”, si vanno facendo sempre più pressanti, così come quelli per perseguire il “bene comune”. In altre parole sembra che si intraveda il segno di una crisi dell’individualismo e della differenziazione sociale.
Il disagio dei nostri tempi fa emergere anche alcune indicazioni incoraggianti. “Disagio” è infatti una parola costruttiva, essa indica uno stato nel quale non ci si trova a proprio agio, uno stato dal quale si vorrebbe uscire. A questo proposito mi sembra particolarmente istruttivo il fatto che, senza togliere nulla alla centralità della persona umana e dei suoi diritti, si faccia sempre più forte l’impulso a investire sulle “relazioni” sociali e sui legami umani. L’approccio delle comunità multifamiliari dei Club, risponde in maniera efficace al bisogno di relazioni, di condivisioni esperienziali fra persone che vivono situazioni comuni e sul fondamentale bisogno di aiutarsi l’un l’altro per affrontare i problemi esistenziali. A tal proposito, si pensi al ruolo fondamentale che viene svolto da un’istituzione come la famiglia che, seppur imperfetta, tuttavia non ha, al momento, alternative migliori . Senza la famiglia, una cultura non può realizzare i suoi potenziali umani e la società non può dispiegare i suoi dinamismi associativi.

Conclusioni

“La politica che investe nell’odio è sempre una medaglia a due facce che incendia anche gli animi di chi vive con rabbia e disperazione il disagio dovuto alla crisi, e questo è pericoloso. A me hanno insegnato che chi salva una vita salva il mondo intero, l’accoglienza rende più saggia e umana la nostra società ”. Liliana Segre Quanto più una società complessa riesce a salvaguardare certi elementi “comunitari” (legami , amore, amicizia, solidarietà, stili di vita sani), tanto più si riduce il rischio di disgregazione sociale, di minacce alla vita familiare, dell’intolleranza razziale e della guerra, così che molti uomini e donne, e soprattutto i giovani, si sentano meno disorientati e privi di speranza.
Il bisogno di una rinnovata idea di solidarietà, di una liberazione culturale incentrata sulla dignità dell’uomo, di sottrarre la nostra società ad un destino “disumano”, ci deve spingere a guardare al corpo sociale nel suo insieme in un’ottica di rinnovata solidarietà civica e di cittadinanza solidale. Non possiamo più chiudere gli occhi dinnanzi al degrado “ambientale” in cui vivono milioni di persone e in cui altrettante milioni muoiono scandalosamente di fame.
E’ quanto mai urgente riconoscere la necessità che le nostre scelte siano profondamente orientate alla dignità dell’uomo. Questa attenzione alle “relazioni che valorizzano” ha il significato di ridefinire i diritti di cittadinanza in riferimento non più allo Stato, ma «all’uomo così come si realizza nelle formazioni sociali autonome, quale che sia la loro sfera di azione (economica, culturale, politica o sociale)», Donati. Se, come scrisse il filosofo statunitense John Bordley Rawls (1921-2002), figura di spicco della filosofia morale e politica, esiste una «legge dei popoli», principi di diritto, di giustizia e di bene comune , esiste anche un obbligo di solidarietà da parte delle «società benestanti e ordinate che rinuncino ad alcune specifiche sovranità nei riguardi delle «società svantaggiate” a vantaggio di un bene comune”, sino a parlare addirittura di “famiglia di Stati” » a partire dalla famiglia di famiglie delle comunità locali.

il bene comune ei il club formato FB

Bibliografia

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