L’azzardo non è un gioco di Giampaolo Carcangiu

L’azzardo e i Problemi Azzardo Correlati (PAC)

L’azzardo nella storia

L’azzardo: aspetti fenomenologici

L’azzardo e i Problemi Azzardo Correlati (PAC)

 “è nel giocare che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità, è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il sé”.

D.W. Winnicott (1974).

Il Gioco è una qualsiasi attività a cui si dedicano per svago bambini e adulti, per il piacere di esercitare il corpo e la mente. È una pratica strutturata e liberamente scelta, svolta individualmente o in gruppo, unicamente finalizzata al divertimento e non praticata per altri scopi o necessità immediati. Va sottolineata altresì la funzione biologica del gioco quale fondamentale forma di apprendimento e di sviluppo dell’uomo come di molte altre specie animali. Sulla base di queste considerazioni concettuali il gioco ha funzioni pedagogiche e psicologiche, è uno strumento educativo per lo sviluppo cognitivo, è un fenomeno antropologico e socioculturale, è una forma di comportamento governata da regole concordate.

Il gioco e il divertimento sono espressioni vitali, legittime e indispensabili, sia nelle loro forme ricreative, agonistiche, sportive, artistiche e culturali, sia in quelle socializzanti, che accompagnano l’uomo lungo l’arco della sua esistenza. Esso è quindi un’attività molto complessa che prevede il rispetto delle regole stabilite, l’imprevedibilità del risultato, il piacere e al contempo la consapevolezza che deve essere circoscritto all’interno di uno spazio temporale ben definito. Il gioco stimola lo sviluppo delle funzioni psichiche, della creatività e della manualità. L’obiettivo “divertimento” rappresenta lo scopo essenziale delle attività ludiche che devono, per definizione, contenere la libertà del giocatore di entrare ed uscire da tale contesto a proprio piacimento.

E’ questo il caso dei giochi di competizione (Agon), di imitazione (Mimicry)  e di vertigine (Ilinx) già descritti da R. Caillois  nel celebre volume “I giochi e gli uomini” (1958). Per J. Huizinga (1938) il gioco è un’attività libera, disinteressata, in quanto non legata a interessi materiali o di sopravvivenza; deve mantenere una precisa dimensione di temporaneità; è articolata secondo un sistema di regole specifiche, artificiali e inderogabili cui il giocatore si assoggetta sempre per libera scelta.

La parola gioco si accosta comunemente seppure in modo inappropriato al termine “azzardo” dall’antico “hasard”, parola francese associata all’araba “az-zahr” che significa   dado, ovvero uno degli oggetti più antichi a cui si lega la tradizione delle scommesse. Nel Vangelo secondo Giovanni (Giov. 19,23-24), ad esempio, viene narrato uno degli episodi più conosciuti nella storia del cristianesimo in cui figura l’azzardo:

“I soldati, quand’ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e anche la tunica. Ma la tunica era senza cucitura, tessuta dalla parte superiore tutta di un pezzo. Dissero dunque fra di loro: Non dividiamola, ma tiriamo a sorte di chi sarà. è così che si compì la Scrittura che aveva detto: Si sono spartite fra loro le mie vesti. E per il mio vestito hanno tirato la sorte”.

Lo storico olandese J. Huizinga nella sua pregevole opera “Homo Ludens” (1938) non comprende l’azzardo tra le attività ludiche, mentre il sociologo francese R. Caillois lo classifica all’interno dei giochi di “Alea”, il cui risultato è unicamente affidato al caso, sottolineandone oltremodo la pericolosità. Lo stesso nel 1962 definì l’azzardo come attività che si basa esclusivamente sulla fortuna e non sulle abilità o sulle caratteristiche fisiche dell’individuo. Nell’azzardo, infatti, gli aspetti ricreativi diventano insignificanti e/o secondari rispetto alla messa in gioco di una posta in denaro o di altri beni, al bisogno di rischiare, di riprovare, di continuare a tentare la fortuna anche a fronte di perdite clamorose e devastanti. Lo psicoterapeuta canadese R. Ladoucuer (2000), descrive l’azzardo come un’attività avente tre caratteristiche fondamentali:

1) lo scopo è quello dell’ottenimento di un premio (denaro o altro);
2) per parteciparvi è necessario rischiare una somma più o meno ingente di denaro o equivalenti e la posta è irreversibile;
3) la vincita è dovuta al caso e non alla perizia dello scommettitore.

Alcuni tipi di azzardo sembrano presentare maggiori rischi di additività, ossia sembrano essere più potenti di altri nel produrre problemi azzardo correlati (PAC). M. Croce (2001) ha operato, in tal senso, una distinzione fra “giochi pesanti” e “leggeri” in base al tempo che intercorre tra la puntata e il pagamento delle eventuali vincite (ravvicinate nei “pesanti”, dilatate nei “leggeri”), in base alla frequenza tra una puntata e l’altra (breve nei “pesanti”, lunga nei “leggeri”) ed infine in base alla possibilità di ripetere la scommessa (tipica nei “pesanti”). Sulla base di queste premesse risulta assolutamente incongruente definire l’esercizio dell’azzardo come un gioco, in quanto i due termini “gioco” e “azzardo” non possono essere considerati concettualmente combinabili essendo di opposto significato. La contraddizione dell’accostamento terminologico gioco-azzardo deve essere estesa anche ai concetti di gioco moderato o normale o responsabile, abuso e dipendenza. Se si accetta di considerare l’azzardo un comportamento, uno stile di vita rischioso, a qualsiasi “dosaggio” venga “consumato”, esso rappresenta comunque un rischio per la salute. Sarebbe meglio parlare di uso piuttosto che di abuso, perché in tale ottica, non potendosi individuare un uso corretto dell’azzardo, qualsiasi uso rappresenta anche un abuso. La lingua inglese ad esempio meglio distingue il play (gioco d’abilità) il cui risultato è affidato alle capacità del giocatore, e il gambling (azzardo) in cui il risultato è affidato unicamente al caso.

 

Bibliografia

Caillois R. (1981), I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine. Bompiani ed., Milano.
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Winnicott D.W. (1974), Gioco e realtà. Armando ed., Roma.

 

 

L’azzardo nella storia

 

“Migliaia di persone si rovinano al gioco, e dichiarano freddamente di non poter fare a meno di giocare: che scusa! Esiste una passione, per quanto violenta e vergognosa sia, che non possa sostenere questa stessa argomentazione? Sarebbe forse lecito dire che non si può fare a meno di rubare, assassinare, suicidarsi? Un gioco spaventoso, continuo, senza ritegno, senza limiti, in cui si punta soltanto alla totale rovina dell’avversario, in cui si è trascinati dalla brama del guadagno, disperati sulla perdita, estenuati dall’avarizia, in cui si espone sopra una carta o all’alea di un dado il proprio patrimonio, quello della moglie e dei figli, è cosa ammissibile oppure da evitare? Non occorre talvolta farsi maggiore violenza quando, spinti dal gioco alla totale rovina, bisogna perfino privarci di vestiti e nutrimento per darli alla propria famiglia?”

Jean de La Bruyère (1688).

Fin dall’antichità l’esperienza dell’azzardo ha esercitato sulla natura umana un fascino spesso irresistibile. I primi cenni relativi a questa pratica si riscontrano già dal 4000-3000 avanti Cristo, nella civiltà egiziana, con la scoperta di numerose fonti che testimoniano di forti scommesse in denaro ai dadi o alle corse con i carri. Verosimilmente tale pratica nasce e si sviluppa dall’arcaico culto delle pratiche divinatorie. Datare con precisione la scoperta delle pratiche d’azzardo è impresa pressoché impossibile, esse sono da millenni parte integrante delle culture di tutti i popoli. In Cina era praticato il “wei ch’i”, la cui origine si fa risalire al 2300 a.C. in Tibet. In tale gioco di abilità e strategia molto complesso, il caso non ha nessun ruolo, vince il più bravo e non il più fortunato; il “wei ch’i” è paragonato a cinque simultanei giochi di scacchi, su cui gli spettatori potevano scommettere sul risultato. La similitudine con la concezione di pericolosità dell’azzardo sembra essere quella del Nala, protagonista di un racconto della mitologia indiana del VI secolo a.C.  Secondo la leggenda, Nala, i cui dadi sono stati stregati da un demone, non può più fare a meno di scommettere. Perso il regno e tutti i suoi averi, Nala decide di fuggire in esilio e riesce infine a riscattarsi sconfiggendo il demone in una partita a dadi non truccati.

Nella mitologia greca si narra che mare, paradiso e inferno furono creati durante una partita ai dadi fra Poseidone, Ade e Zeus. Zeus vinse l’Olimpo, Ade gli Inferi e Poseidone il mare. Le prime scommesse legate allo sport risalgono all’antica Grecia laddove, in occasione delle Olimpiadi, la popolazione si divertiva a puntare sull’esito delle gare.

Presso gli antichi romani l’azzardo era generalmente vietato per ragioni di ordine pubblico, ad esclusione delle scommesse sulle corse delle bighe e quadrighe e sul risultato dei combattimenti dei gladiatori. Connaturata con l’azzardo, inoltre, pare essersi sviluppata la propensione a barare, confermata dal ritrovamento, nei pressi di Pompei, di dadi truccati appesantiti da un lato. L’azzardo era la grande predilezione del popolo romano, gli astragali ed i dadi venivano utilizzati da uomini, donne e bambini. Essi inoltre, venivano adoperati per predire il futuro, e spesso erano inseriti nei corredi funerari o donati alle divinità come offerte votive. Alcuni personaggi pubblici non venivano risparmiati dalla febbre dell’azzardo, è risaputo che Augusto Imperatore abbia perso ventimila sesterzi, una cifra notevole, durante una sola partita a dadi; che Nerone sia stato un ostinato scommettitore e infine, che Claudio abbia addirittura fatto trasformare il suo carro in una bisca, disponendo di un meccanismo sofisticato grazie al quale i dadi non si spostavano anche in caso di lunghi viaggi su percorsi dissestati.

L’azzardo era comunque vietato tranne che nel periodo dei Saturnali (l’attuale carnevale). Chi veniva sorpreso a scommettere clandestinamente pagava come multa una somma corrispondente al quadruplo della posta in palio. Locande ed osterie rappresentavano i principali luoghi in cui i cittadini potevano dedicarsi a tale controproducente passione mentre bevevano vino e consumavano i pasti; ciò indusse all’apertura delle cosiddette “tabernae lusoriae”, ossia di vere e proprie case da gioco. Più avanti nel tempo, più precisamente nel Medioevo cristiano, l’azzardo era considerato un “laccio del diavolo”, come si legge nel “De Aleatoribus”, unico scritto dell’antichità attribuito a Tascio Cecilio Cipriano Vescovo (210-258), in cui egli enuncia la severa condanna del “gioco” dei dadi, giudicato una pratica idolatrica perpetrata dal diavolo contro i cristiani.

Allo stesso modo Allah ordinò ai suoi fedeli di proteggersi dall’azzardo in quanto fonte di inimicizia e divisione,

“…evitatelo, affinché possiate prosperare. In verità con il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra di voi e allontanarvi dal ricordo di Allah e dall’orazione…” (Corano 5, 90-91).

Nel XIII e XIV secolo, prima dell’avvento delle carte da gioco, l’azzardo equivaleva perlopiù ai dadi. Si praticavano vari giochi, tra i più diffusi vi era quello della Zara (che deriva dall’arabo az-zahr, come la stessa parola azzardo) che Dante Alighieri (1265 –1321) cita nella sua Divina Commedia (Purgatorio, Canto sesto) situando nell’Antipurgatorio le anime dei negligenti, ossia di chi nel corso della vita terrena ha omesso di adempiere ai doveri spirituali, e ora aspetta il momento dell’espiazione. Il Canto si apre con le terzine:

Quando si parte il gioco de la zara, colui che perde si riman dolente, repetendo le volte, e tristo impara; con l’altro se ne va tutta la gente; qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, e qual dallato li si reca a mente… “, che potrebbero essere così parafrasate: “Quando ha fine il gioco della zara, colui che perde resta addolorato e solo, ripetendo il lancio dei dadi più volte, così da imparare la lezione; con il vincitore invece si allontana la folla; c’è chi lo precede, chi lo segue, chi l’affianca…”.

Lo stesso poeta inoltre, relega i giocatori-scialacquatori nel secondo girone del settimo cerchio dell’inferno (Divina Commedia, Inferno, canto undicesimo), insieme ai suicidi.

Nel tempo le tecniche dell’azzardo si sono poi evolute e radicate nel tessuto sociale ed economico e attorno al XII e XIII secolo si organizzarono le prime corse dei cavalli con relative scommesse. I governanti vigilavano sulle attività d’azzardo in quanto era loro compito difendere la morale pubblica, salvaguardare la cittadinanza ed impedire che i militari di guardia alle mura delle città si distraessero dai loro compiti. Nella seconda metà del 1400, le nuove tecniche di stampa e la disponibilità della carta contribuirono a rendere i giochi delle carte alla portata di tutti i ceti sociali. A Genova nel XVI secolo nacque ufficialmente il “lotto”, probabilmente per iniziativa di un patrizio della città, tale Benedetto Gentile, che applicò questa nuova lotteria alle scommesse sugli esiti delle elezioni del Senato della Repubblica. Il consenso ricevuto dalla popolazione fu larghissimo e permise agli organizzatori privati del lotto di gestire enormi guadagni. Questo fatto attirò l’attenzione dello Stato che si sostituì ai privati istituendo nel 1643 una tassa governativa.

Nel 1500 il fenomeno del pullulare, soprattutto nei grandi centri abitati, di prestigiatori, bari e borseggiatori, doveva essere molto frequente, tanto che è proprio del 1594 la produzione dell’opera “I bari” di Michelangelo Merisi di Caravaggio (1571-1610), maestoso olio su tela esposto negli U.S.A. al Kimbell Art Museum, Fort Worth, Texas.

Il famoso dipinto mette in scena la truffa ai danni di un giovane ingenuo che gioca a “zarro” (simile all’attuale poker) con un suo coetaneo il quale, in combutta con un compare, trucca le carte al fine di sottrargli il denaro con l’inganno.  Il Caravaggio condannava in quest’opera un malcostume dei suoi tempi molto frequente, tanto che per i bari erano previste pene severissime tra cui quella di morte. Non sempre era il problema morale ad animare le amministrazioni pubbliche, bensì la constatazione che l’azzardo era molto spesso all’origine di liti, faide, risse, ferimenti e omicidi. D’altro canto, chi perdeva, pur poco, per via della scarsa disponibilità del denaro, perdeva in realtà un patrimonio e doveva poi essere mantenuto dalla carità pubblica, assieme alla sua famiglia. Con gli anni, l’azzardo divenne sempre di più uno strumento in mano a persone particolarmente abili nella truffa, ossia dei prestigiatori che, con la loro destrezza, dirigevano il “gioco” a loro favore. In quei tempi, come dimostrano le opere del pittore Brueghel il Vecchio (1568-1625) e di suo nipote, detto il Giovane, (1564 –1638), pittori fiamminghi attivi a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, le feste popolari pullulavano di bari, lestofanti e vittime ingenue. Anche nella letteratura picaresca che, a cavallo del XVI e XVII secolo, dalla Spagna si diffuse in Europa,  si narra sempre la storia di un vagabondo diseredato che
cheche si procura denaro barando alle carte o ai dadi nelle osterie. Il capostipite del genere picaresco è il romanzo “Lazarillo de Tormes”, apparso anonimo nel 1554.

Nello stesso secolo, in Italia e in Inghilterra, nacquero le prime lotterie che venivano tassate e quindi sfruttate dagli amministratori statali per riuscire a coprire i deficit di bilancio.

Durante il Rinascimento quindi l’azzardo dilagava. Alla Corte di Francia Re Enrico IV, fu un giocatore irriducibile che contagiò anche la sua corte: numerosi personaggi infatti vivevano quasi esclusivamente dei proventi di tale pratica. In quest’epoca, inoltre, comparve, nel parco delle offerte d’azzardo, la roulette, che si narra sia stata inventata nel XVII secolo dal matematico e filosofo francese Blaise Pascal (1623-1662). Nel 1700 era possibile aprire un “punto scommesse” in luoghi appositi, oppure nelle case nobiliari, dove i gestori dei banchi dovevano pagare la pigione.

Molti nobili in difficoltà economica a causa delle perdite patrimoniali legate all’azzardo, concedevano in affitto parte dei loro palazzi. è in questo secolo che appare per la prima volta Il termine camorra ad indicare un gioco d’azzardo e una bisca clandestina nel centro di Napoli; d’altra parte anche camorrista voleva significare, all’epoca, tenutario di una bisca.

Data la vastità del fenomeno era inoltre frequente il suicidio per debiti di “gioco”, si trattava di una questione d’onore. Il noto poeta Ugo Foscolo (1778, 1827) dedicò infatti il sonetto “in morte del fratello Giovanni” composto nel 1802 per la memoria del fratello Giovanni Dionigi che si era ucciso con una pugnalata, a soli vent’anni, in presenza della madre a causa di un grosso debito di gioco. Anche Giovanni Verga (1840-1922) descrisse in “Ciò ch’è in fondo al bicchiere” nella raccolta “tutte le novelle” il motivo del suicidio per debiti di gioco:

Una mattina, sull’alba, tornò pallido e fosco. Aveva perduto. Giuocava da un pezzo, da che non mi amava più. E si voleva uccidere perché non poteva pagare … Non per me … Lui che aveva tutte le delicatezze, tutta la poesia, tutta la nobiltà dell’animo. E l’ultima rottura fra di noi, l’ingiuria che non poté perdonarmi, fu quando gli offrii d’aiutarlo, io ch’ero parto di lui, che vivevo soltanto per lui, che gli avevo sacrificato ben altro, che non sapevo che cosa farmi del mio denaro … Mi lasciava appunto per questo, perché egli non ne aveva più. L’onore degli uomini è così fatto”.

Nella seconda metà dell’800 Fëdor Michajlovič Dostoevskij (1821-1881), scrittore e filosofo russo, pubblica nel 1866  il romanzo autobiografico “il giocatore” scritto per necessità (egli doveva restituire una somma in denaro presa in prestito per il gioco) e pressato dagli editori ai quali aveva promesso questo romanzo. Il tema principale è quello dell’azzardo, che induce le persone a sperperare i propri beni dominate dalla bramosia di vincere.

Già dal ’700, peraltro, l’amore per le scommesse sportive, in particolare per le scommesse sulle corse dei cavalli, arrivò sul Vecchio Continente, dall’Inghilterra e con la nascita dei grandi ippodromi nell’Ottocento esplose la “febbre da cavallo”. Nel nostro Paese l’istituzionalizzazione delle corse al trotto e al galoppo fu successiva all’Unità d’Italia.

Dopo un periodo di grande permissivismo, alla fine del secolo, in alcuni Stati europei, cominciò una ventata proibizionista che portò fra l’altro alla chiusura e alla forte limitazione dell’attività dei casinò in Italia e Svizzera. Anche le donne scommettevano, e questo fatto risvegliava forti opposizioni di carattere moralistico.

Sir Richard Steele (1672-1729), noto statista britannico, scriveva, a tal proposito, che

“niente sciupa un bel viso come le veglie ad un tavolo da gioco”, e per questo motivo le donne “…hanno visi scavati, occhi vitrei, colorito esangue”.

Lo stigma sociale, che accomuna(va) gli uomini e maggiormente le donne “viziose” dedite all’azzardo, ha contribuito alla loro emarginazione anche attraverso l’internamento nei primi manicomi del XIX secolo. Gli psichiatri francesi Philippe Pinel (1745-1826) e il suo allievo Jean Etienne Dominique Esquirol (1772-1840) introdussero in psichiatria il concetto di “impulso istintivo” coniando il termine di “monomania istintiva”. In origine tra queste monomanie erano incluse: l’alcolismo, la piromania, l’omicidio, la cleptomania e la monomania del gioco. Tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 tra i ricoverati di un manicomio parigino diretto da Esquirol vi era “L’Alienata con la monomania del gioco”, il cui ritratto è un dipinto a olio su tela realizzato da Théodore Géricault (1791-1824) attualmente custodito presso il Museo del Louvre di Parigi. Quest’opera fa parte della serie dei “Ritratti di alienati, in cui l’artista raffigurò dieci ospiti del manicomio.

Tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX si sviluppò a partire dal Regno Unito la rivoluzione industriale che diede avvio a profonde trasformazioni produttive, tecnologiche, economiche e ambientali. Nacquero le nuove classi sociali: il proletariato operaio sfruttato e mal retribuito contrapposto alla classe borghese ambiziosa e opulenta. La massa operaia si addensò nelle periferie urbane, dove le condizioni di vita erano alquanto precarie e malsane. In queste aree dilagavano la prostituzione, la sofferenza mentale, l’alcolismo, la criminalità e l’azzardo che si diffuse, rapidamente, come attività di sobborgo per coloro che tentavano la fortuna con la speranza di migliorare le proprie condizioni economiche e il proprio status sociale. Nella seconda metà del 1800 comparvero le prime corse dei cani levrieri che si svilupparono successivamente, nei primi anni del secolo scorso, a partire dagli USA, con l’apertura dei  primi cinodromi professionali della California. Le scommesse costituivano l’ingrediente principale delle corse dei cani, molto popolari soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. A partire dai primi anni sessanta cominciò il declino dei cinodromi in relazione alla possibilità per gli scommettitori di effettuare le puntate più comodamente presso ricevitorie autorizzate all’esterno dei cinodromi stessi.

Nel 1895 Charles Fey, negli Stati Uniti D’America, inventò la prima slot-machine “letteralmente macchina ad un solo braccio, quello per prendere, ma priva di quello per rendere”, (Lavanco, 2001), che segnò l’inizio della rivoluzione industriale dell’azzardo e dello sfruttamento globale di questa grande risorsa finanziaria. Prima della sua legalizzazione tutto l’azzardo era condannato socialmente, moralmente e giuridicamente.  A tal proposito lo psicologo Mauro Pini dedica un intero paragrafo del suo libro, “febbre d’azzardo” (2012) allo strano caso demologico di non “giocatori d’azzardo”, riguardante la Sardegna che

almeno fino ai primi del Novecento, quando iniziò il lotto sulla ruota di Cagliari, era del tutto esente dai giochi di alea con scommesse in denaro”.

Nello stesso testo viene citato De Sanctis Ricciardone, il quale sottolinea che le ragioni dell’avversione di questa gente per i giochi di sorte, contrapposta alla loro grande passione per i giochi di parole, andava ricercata nello stile di vita dei pastori nomadi, talmente saturo della sfida all’imprevedibilità degli eventi quotidiani da inibire qualunque dose aggiuntiva di rischio, e ancora, lo stesso Pini:

“… afferma la ricercatrice Susanna Paulis (2006) che in Sardegna non si scommetteva poiché era in atto un sistema di valori che fa decisamente più affidamento all’essere abili e valenti che non sulla fortuna”,

ovvero non ci si può arricchire se non rendendo povero qualcun altro. Nell’opera di Antonio Pigliaru (1922-1969), “La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico” (1959), inoltre, non v’è traccia di offese da vendicare relative a debiti di “gioco” non evasi o a scommesse in denaro o beni diversi.

Oggi l’azzardo rappresenta un’attività che coinvolge milioni di persone, stimabili solo in Italia nell’80% della popolazione adulta. Profeticamente il noto politico italiano Quintino Sella (1827-1884), nel lontano 1880 scriveva:

“Vuolsi dall’altra parte considerare con quanti allettanti contrari al risparmio si cerchi di sedurre le masse. Il Governo stesso colla istituzione del lotto combatte nel modo più atroce la previdenza […]. Le giuocate al lotto nel 1878 furono (orribili a dirsi!) di 212 milioni: cioè in media quasi 4 milioni di cittadini ogni settimana giuocano al lotto […] Sono numeri tremendi quelli che io espongo, tanto che sono qualche volta indotto a pensare che un governo il quale, senza la più assoluta necessità, spinge il popolo al giuoco, merita, e dalla posterità avrà, una nota di infamia” (da “Febbre d’azzardo” di Mauro Pini, 2012).

Nel corso del XX secolo con la nascita della cinematografia (1915) il tema dell’azzardo venne affrontato di frequente dando origine ad un vero e proprio genere cinematografico: il “Gambling Movie”. Da “Montecarlo” del 1930 di E. Lubitsch (USA) passando per “La donna di picche del 1949 di Th. Dickinson (GB), tratto dall’omonimo romanzo di A. S. Puskin (1799-1837) e ancora “Giocatore d’azzardodel 1954 di H. Levin (USA), “Cincinnati Kid” del 1965 di N. Jewison (USA). In “40.000 dollari per non morire” del 1974 di K. Reisz, USA, si traccia il ritratto di un intellettuale, docente di letteratura in un college, cui la passione per il gioco lo spinge verso l’autodistruzione. Si ispira al già citato romanzo di Dostojevskij.

“Febbre da cavallo è un lavoro italiano del 1976, diretto da Steno, nome d’arte di Stefano Vanzina (1915-1988); divenne un film culto per gli appassionati frequentatori più o meno assidui delle sale scommesse e ippodromi. Per concludere questa breve rassegna filmografica ricordo il più recente “Il giocatore” del 1999 di J. Dahl (USA) in cui si narra di un giovane studente in giurisprudenza che si mantiene, almeno in parte, con il poker, il quale diventa la sua ossessione. In particolare, l’ossessione di vincere. In una bisca clandestina accetta una sfida, dove perde tutto quello che ha, e che aveva messo da parte per pagare i suoi debiti. In tal modo si mette nei guai. Infine, ritornato in possesso di una somma, la rimette in gioco, e questa volta fa il colpo grosso. Ma ormai lo studio non gli interessa più. Investirà il denaro guadagnato, nel suo sogno: andare a Las Vegas per partecipare al campionato di poker. E per finire il più recente “La grande scommessa” di Adam McKay (USA, 2016).

Il business dell’azzardo, legale e illegale, ha prodotto una florida linea di articoli di consumo, riuscendo a trasformare l’immagine negativa che li caratterizzava, in una merce sicura e utile fonte di profitto. Sul piano normativo, i principi guida della regolamentazione del settore sono quelli della liberalizzazione e dell’ampliamento del ventaglio dell’offerta.

È dimostrata d’altra parte la relazione direttamente proporzionale tra accessibilità al consumo d’azzardo in una determinata comunità, e la prevalenza dei PAC. L’azzardo si è affermato come un fenomeno di massa, tollerato e sempre più esibito ed incentivato nelle ricevitorie, nei bar, supermercati, uffici postali, dove si moltiplicano le occasioni di consumo. Anche il modello di marketing ha subito una forte evoluzione con l’offerta di grandi e piccole vincite prediligendo l’istantaneità della riscossione che notoriamente funge da rinforzo positivo alla ripetitività delle scommesse. L’incremento del “gioco” online ha contribuito all’alienazione e alla crescita esponenziale del numero di gamblers che possono comodamente scommettere dalla propria abitazione e in totale anonimato, superando l’imbarazzo di recarsi in un luogo pubblico dove potrebbero essere riconosciuti.

Gli obiettivi dell’azzardo, secondo la normativa italiana, sono l’intrattenimento, la socializzazione, e l’utilizzo del tempo libero. I dati relativi ai costi sociali e sanitari dei PAC per la nostra collettività si attestano tra i 5,5 e i 6,6 miliardi di euro annui, segno questo che gli obiettivi succitati sono molto lontani dalla triste realtà quotidiana e che il nostro tempo libero andrebbe utilizzato per pratiche ben più salutari e divertenti, così come mette in guardia il caratteristico personaggio di “Eroe, Storia di Luigi delle Bicocche”, un singolo del rapper italiano Caparezza, estratto dall’album “Le dimensioni del mio caos” e pubblicato nel 2008. Il brano narra la storia di un operaio precario che, nonostante le varie difficoltà che incontra nel quotidiano (tra cui la tentazione del video poker e di chiedere prestiti agli usurai) riesce a mandare avanti la sua famiglia, che secondo il rapper è, nei nostri giorni, un’impresa eroica.

“… io passo la notte in un bar karaoke, se vuoi mi trovi lì, tentato dal videopoker ma il conto langue e quella macchina vuole il mio sangue …. Io sono pane per gli usurai ma li respingo…. Non gratto, non vinco, non trinco/nelle sale bingo/Man mano mi convinco/che io sono un eroe, perché lotto tutte le ore……”.

Ci sono poi i costi non facilmente stimabili, che riguardano l’aggravarsi di fenomeni sociali: le infiltrazioni della criminalità organizzata, la crescita del ricorso all’usura, il peggioramento dello status delle persone che versano già in condizioni socio economiche svantaggiate, i sussidi economici per i PAC, l’incremento delle separazioni, dei divorzi, dei suicidi per debiti di “gioco”, un incremento continuo e impressionante di minorenni vittime, nonostante i divieti imposti dalla legge, delle selvagge logiche di mercato.

“Un cancro sociale al pari del narcotraffico e delle droghe” come ha definito l’azzardo nel 2010 Papa Francesco. Lo stesso più recentemente, nel 2016, ha raccomandato urbi et orbi:

Azzardo e usura generano continui fallimenti, non solo economici, ma anche famigliari, ed esistenziali. Si lotti con tutte le forze per sconfiggerli”.

è interesse comune e comunitario accogliere tale messaggio che, nonostante sia stato comunicato più volte nella storia, rappresenta ancora oggi l’espressione di un inderogabile bisogno di pace e giustizia sociale.

Bibliografia

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Verga G., (1942), Tutte le novelle. A. Mondadori ed., Milano.
Zdekauer L. (1993), Il gioco d’azzardo nel medioevo italiano. Salimbeni ed., Firenze.

 

L’azzardo: aspetti fenomenologici

“Il Gioco per un bambino è fondamentale per la crescita, peccato che da adulti si smetta di giocare e si creda di fare sul serio. Giocare è crescere, pratica sempre utile all’uomo.”
Stephen Littleword (2013).

L’azzardo non è una normale attività ludica, si deve quindi affermare che esso non è un gioco e che il tentativo di normalizzazione di tale pratica da parte della “gaming industry” (industria del gioco), andrebbe incisivamente contrastato anche mettendo in discussione la denominazione “gioco d’azzardo” e discostando letteralmente la parola “gioco”, che rimanda allo svago e al divertimento, dal termine “azzardo” che rimanda al rischio e al pericolo.

E’ bene ricordare che per molti secoli, prima della sua legalizzazione, liberalizzazione e inserimento nella catena commerciale dei consumi, l’azzardo a qualsiasi “dosaggio” era oggetto di riprovazione sociale, morale e anche giuridica. La cosiddetta “monomania da gioco d’azzardo”, il “gioco d’azzardo patologico” (GAP), ora “disturbo da gioco d’azzardo”, deve essere inteso come un fenomeno multifattoriale che non è possibile ricondurre ad una sola causa né a fattori peculiari di disagio. Per la prima volta, il nuovo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5, 2013) include il “disturbo da gioco d’azzardo” insieme ai disturbi da uso di sostanze. Nelle precedenti edizioni il vecchio GAP era classificato come un disturbo del controllo degli impulsi.

I Problemi azzardo correlati (PAC), di cui il disturbo da gioco d’azzardo rappresenta l’espressione più indesiderata e grave, non sono limitati ad una minoranza di individui “devianti”, i danni e le sofferenze che ne derivano sono ampiamente distribuiti nella società e non riguardano solamente i singoli individui ma, in considerazione anche dei costi sociali ed economici che impongono, richiedono l’intervento della società nel suo insieme. I problemi azzardo correlati in realtà sono tutti i disagi legati al consumo episodico o protratto dei prodotti dell’azzardo. Generalmente essi si presentano in questo ordine temporale:

1) problemi relazionali, per le difficoltà che si creano nei rapporti interpersonali e soprattutto in famiglia;
2) problemi sociali, per i danni nella sfera lavorativa e in altri campi della sfera sociale;
3) problemi somatici, per i danni organici e per le situazioni a rischio che inducono.

Attraverso la definizione di PAC si vuole sottolineare quanto sottile possa essere la linea di confine tra il cosiddetto “gioco moderato “e quello “patologico”, centrando così l’obiettivo sul fattore “rischio legato al consumo”, piuttosto che sull’aspetto “consumo sano moderato”, a basso, medio o alto rischio, volendo intendere quindi che qualsiasi comportamento d’azzardo corrisponde ad un rischio per la salute “comunitario ecologico”. L’interesse e l’attenzione nei confronti dei PAC deve necessariamente tener conto degli stravolgimenti e delle sofferenze che essi determinano nella vita delle persone e delle loro famiglie oltre che della gestione, del superamento e della rimozione degli ostacoli al cambiamento. I PAC devono essere considerati e osservati come problemi multidimensionali in quanto coinvolgono lo stato di salute fisica, psichica e sociale dell’individuo, della famiglia, della comunità e le conseguenti disfunzioni ai vari livelli, parti o espressioni di un disturbo sistemico. Se non si tiene presente ciò, è facile incorrere in una visione settoriale dei PAC, in genere solo medica o psicologica o sociale. La notevole diffusione dei prodotti dell’azzardo rende inoltre facile l’accessibilità a uno degli innumerevoli “punti di consumo”, anche stando comodamente seduti davanti al proprio personal computer, in totale anonimato, 24 ore su 24, senza limiti e restrizioni legali, alimentando così oltre al mercato, gli inevitabili processi di isolamento e de-socializzazione. Questi tratti, tipici di altri comportamenti di “addiction”, hanno però un doppio profilo: uno legato alla tensione piacevole che deriva dall’alternanza “angoscia – eccitazione” e l’altro legato al bisogno di mantenere il controllo sul denaro “vincite – perdite” che, non essendo mai bastante e in balia della sorte, diventa l’unica vera ossessione dello scommettitore. Il coinvolgimento individuale e collettivo che le pratiche d’azzardo sono in grado di sviluppare può essere tale da determinare la perdita della cognizione del trascorrere del tempo e delle risorse (sia finanziarie che mentali). Vengono spesso trascurate le relazioni sociali, la famiglia e il lavoro, arrivando talvolta a porre in essere comportamenti antisociali, come ad esempio il furto, l’estorsione e la truffa allo scopo di ottenere il denaro necessario per scommettere continuativamente. Si va inoltre sempre più affermando la normalizzazione dell’azzardo per ragioni che sembrano voler tutelare solamente tale business, che promuove i suoi prodotti come giochini divertenti, sani e innocenti. “Consumo, dunque sono” afferma il noto sociologo polacco Zygmunt Bauman, parafrasando la celeberrima locuzione cartesiana “Cogito ergo sum” e utilizzandola ad indicare il dramma planetario dell’imposizione della mentalità del capitalismo consumistico, ben rappresentato in maniera esaustiva dal mercato dell’azzardo. è proprio in conseguenza di questo paradosso che, oltre che distrarre l’attenzione delle masse dal rischio per la salute insito nell’azzardo, si opera una semplicistica distinzione tra un gioco buono, quello legale, le cui finalità sono eticamente corrette e un gioco cattivo, quello illegale, relegato alla clandestinità e alla criminalità.

Non è più l’azzardo come pratica sociale ad essere oggetto di stigma, bensì una sola e nuova categoria di persone, quella dei viziosi o geneticamente tarati, cristallizzata nello stereotipo del deviante” (Volberg e Wray, 2007).

L’azzardo è attualmente un’attività socialmente accettata, che pur collocandosi al di fuori della dimensione trasgressiva dell’uso di sostanze psicotrope, ha assunto le connotazioni di una vera e propria “addiction”, di uno stile di vita doloroso e perdente.

Bibliografia

American Psychiatric Association (2013). DSM-5, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Trad. it. 2014, Raffaello Cortina ed. Milano.
Andreoli V., (2011), Il denaro in testa. Rizzoli ed., Milano.
Bauman Z. (2006), Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi. Erickson ed., Trento.
Croce M., Zerbetto R. (2001), il gioco e l’azzardo. Il fenomeno, la clinica, le possibilità di intervento. Franco Angeli ed., Milano.
Hudolin V., (1991), Manuale di alcologia. Centro studi “M.H. Erickson” ed. Trento.
Ladouceur R. (2000), Il gioco e gli uomini. Trad. it. 2003, Centro Scientifico ed. Torino.
Littleword S. (2013), Piccole cose, aforismi d’autore. GDL ed. Milano.
Pani R., Biolcati R. (2006), Le dipendenze senza droghe. Lo shopping compulsivo, internet e il gioco d’azzardo. UTET ed., Torino.
Rossi A. (2006), Possibilità dell’io. Il cogito di Descartes e un dibattito contemporaneo. Mimesis ed., Milano.
Volberg, R.A., Wray, M. (2007), Legal Gambling and Problem Gambling as Mechanisms of Social Domination? Some Considerations for Future Research. Am Behav Scientist, 51,1, 56-85.

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